Seguire Lui
Fermandosi sul
posto
Tempi. 17/30 agosto 2000
L’inizio di un nuovo millennio è un
inizio relativo. Per la singola persona il cambio di millennio significa assai
meno che un cambio di appartamento, addirittura di un cambio di calzini. Questi
sono avvenimenti intimi, mentre il cambio di millennio è un avvenimento
esterno e, a differenza della vita privata, irreversibile come il cambio delle
stagioni dell'anno. C'è tuttavia, nel cambio di millennio, un fattore
che ne fa un avvenimento spirituale: pur essendo un avvenimento insignificante,
esso però è comune a tutti, e quindi è più
importante di tanti piccoli avvenimenti della vita privata. Per questo anche
per il cristiano, che conosce il valore della comunione, il cambio di millennio
è più importante che per una persona di cultura secolare, che
rifiuta il comune a favore del privato.
La persona esiste nella comunione
II cristiano conosce
il valore di ciò che unisce, e l'uomo diventa cristiano proprio quando
dall'isolamento si apre alla comunione. La comunità può essere molto
povera spiritualmente, nell'isolamento la persona può essere assai
più ricca spiritualmente, ma esiste nella comunità, anche nella
più derelitta, una specie di vitamina che è assente anche nella
più ricca vita spirituale intcriore. Questo non è un problema, il
problema è che la comunione cristiana esiste nel catechismo e sulla
carta, mentre nella vita esiste una moltitudine di comunità cristiane.
Il fanatico risolve questo problema affermando che soltanto la sua
comunità è veramente cristiana. Il cinico risolve il problema
dichiarando che tutte le comunità sono ugualmente fasulle, sono tutte un
inganno. Il mistico - quei mistici che con orgoglio portano questo nome -
risolvono il problema spiegando che le differenze non hanno senso. Tuttavia,
è chiaro che si tratta soltanto di scappatoie. Sulla
soglia del cambio di millennio, evento obbligatoriamente comune, comune a
tutti, evento al di fuori della dipendenza dalla confessione religiosa degli
abitanti del mondo postcristiano (è utile ricordare, che esistono anche
il mondo musulmano, induista, cinese, per i quali questo praticamente non
è neanche un evento), il cristiano sta davanti al problema della
manifestazione del comune non obbligatorio, non esteriore, non indifferente.
La soluzione
più semplice del problema è invocare il nome di Cristo. Forse che
Cristo non è proprio ciò che è comune a tutti i cristiani?
Eppure la soluzione più semplice appare in realtà la meno
efficace, così come le mosse più naturali negli scacchi portano a
una sconfìtta fulminea, allo scacco matto più elementare.
Rivolgersi a Cristo non è difficile, ma come fare a non voltare in
questo le spalle alla gente (non agli atei, ma ai credenti)?
"mani pulite" e speranza nel potere
sono blasfeme
Questo
avviene, poiché i cristiani sono veramente peccatori e veramente santi. I cristiani peccano, come tutti gli altri uomini, e spesso ritengono che
i loro peccati siano la causa principale delle divisioni tra i cristiani. Se
almeno fosse così! Lev Tolstoj iniziò il romanzo "Anna
Karenina" con l'affermazione che tutte le famiglie felici sono felici allo
stesso modo, mentre quelle infelici lo sono in modi differenti. In
realtà è vero proprio il contrario (l'errore di Tolstoj è
perdonabile, la sua famiglia era infelice). La peccaminosità cristiana
in sé rappresenta un problema minore, che non la santità
cristiana. I peccati sono comuni a tutte le confessioni, a tutte
le comunità. I peccati uniscono i cristiani, più che
dividerli. Le speranze di aiuto da parte del regno di Cesare, le speranze che Cesare possa
intervenire d'autorità con frutto per la Chiesa e per l'umanità,
in generale le speranze nel potere come mezzo per la salvezza, tutte queste
vane speranze abbondano sia nella storia del cattolicesimo, che in quella
dell'ortodossia e del protestantesimo. La superbia è superbia in Italia,
come negli USA e in Russia. Gli sfrontati sono dappertutto, e tutti uguali. Niente
impedisce la comprensione reciproca tra i cristiani come la speranza che da
qualche parte, dietro le montagne o le pianure, in un qualche regno o qualche
nuovo stato ci sia una Chiesa libera dai vizi della nostra Chiesa. In Russia
spesso sì guarda in questo senso al cattolicesimo (anche se poi per lo
più si diventa protestanti), in Europa occidentale così pensano
spesso dell'ortodossia russa. Sono speranze blasfeme, che attendono la salvezza
dal basso e non dai cieli.
la particotarità dell'ortodossia
Ma la
particolarità del cristianesimo sta nel fatto che il cristianesimo
genera qualcosa di particolare. Si può peccare (è anche
più comodo) anche fuori dai confini della Chiesa. Vladimir Solov'ev però
si poneva la domanda sul perché la "risposta cristiana" ai
problemi della vita sia sempre chiara, mentre la "risposta ortodossa"
richieda una riflessione, una ricerca, delle dimostrazioni, e ugualmente ne
venga fuori qualcosa di nebuloso. Questo si riferisce non solo ai peccati.
Solov'ev allora annotava che "cristianamente" è chiaro che
uccidere non è bene, mentre per l'ortodossia non è bene, tranne
che in alcuni casi (la pena di morte, la difesa della patria) in cui ciò
che non è bene, è meglio del bene. Eppure cento anni fa anche i
cattolici, e lo stesso i protestanti, ritenevano la pena di morte una cosa
assolutamente normale in alcuni casi, esattamente come gli ortodossi. Oggi in
Russia sia la pena di morte che il bombardamento del proprio territorio di
solito si giustificano con le tradizioni ortodosse, non perché tutti
siano diventati ortodossi (non lo sono, in realtà gli ortodossi sono
rimasti il 2-3% della popolazione, quanti erano prima), ma perché tutte
le altre giustificazioni ormai hanno completamente perso di significato.
La particolarità
dell'ortodossia non sta nel benedire il potere a occhi chiusi. Questo lo sanno
fare anche i senza-dio. Se questa fosse l'ortodossia, allora l'ortodossia non
servirebbe al cristianesimo, anzi sarebbe nociva (molti ortodossi, specialmente
in Russia, pensano la stessa cosa del cattolicesimo e del protestantesimo). La particolarità
dell'ortodossia sta nell'essere un cristianesimo in condizioni di schiavitù.
Questo non significa che l'ortodossia generi la schiavitù. L'impero bizantino
avrebbe potuto essere anche musulmano; e di fatto la Sublime Porta era (e in parte
è rimasta) una variante islamica dell'impero bizantino. La Russia ha
ricevuto l'ortodossia cent'anni dopo che si era formato lo stato russo nei suoi
tratti fondamentali e immutati fino ad oggi, e cioè un miscuglio unico e
poco piacevole di patriarcalismo e infantilismo.
L'ortodossia non genera la
schiavitù, l'ortodosso può anche ribellarsi alla schiavitù.
In realtà tutte le insurrezioni nella storia della Russia sono state
fatte da ortodossi, e spesso vi prendeva parte il clero. Nella Russia odierna
il ribelle più noto è il sacerdote Gleb Jakunin, che sottolinea
la propria ortodossia, e il ribelle più rispettabile è lo
scrittore Aleksandr Solzhenicyn, che sottolinea la propria ortodossia. Jakunin
è veramente un ortodosso, anche se è stato cacciato dalla Chiesa
(cacciato da coloro che a suo tempo avevano aiutato il KGB a mettere in
prigione Jakunin per aver criticato le persecuzioni contro la Chiesa).
Solzhenicyn è veramente un ortodosso, anche se non lo cacciano dalla
Chiesa unicamente per paura dello scandalo; in ogni caso, dopo il ritorno in
Russia una volta è intervenuto a un incontro con il Patriarca con toni
tali, che a simili incontri non è più stato invitato. Di ribelli
ortodossi meno noti ce n'è un sacco, in parte anche l'autore di queste
righe, ma proprio per questo posso testimoniare: l'ortodossia non sta nella
schiavitù né nella ribellione, come Dio non è nel
terremoto né nella izverzhenje.
la nostalgia del calore di Matrjona
L'ortodossia può sussistere anche senza la
schiavitù, non 'è
dubbio. Esempio di ciò è l'ortodos-sia nei paesi non ortodossi
dell'Occidente. Zerto, là vi è anche l'ortodossia cholopskoje, impegnata soltanto nella lotta :ontro i cattolici, nella dimostrazione della
propria originalità, impregnata di nazionalismo russo o ancor peggio di
monarchismo russo. Spesso l'ortodossia in Occidente è più pura e
culturalmente più ricca dell'ortodossia in Russia, così come
l'induismo artificioso dell'associazione "La coscienza di Kri-shna"
è più puro e culturalmente più elevato dell'induismo
dell'India. E tuttavia è sufficiente un Olivier Clément per
capire che l'ortodossia può essere personalista, senza smettere di
essere ecclesiale.
Tuttavia
rimane uno scarto tra la possibilità di essere ortodosso in un paese libero
e l'impossibilità di rimanere ortodosso nel paese della
schiavitù. È difficile. È facile amare l'ortodossia di Matrjona,
eppure Solzhenicyn, entusiasmandosi per essa, è diventato un ortodosso
di tutt'altro tipo, più militante, più nazionalista. Oggi e
domani nell'ortodossia russa, così come cento, e cinquecento anni fa, la
maggioranza, la maggioranza aritmetica è assai lontana
dall'umiltà e dal calore di Matrjona.
Risentimento, prediche e frittelle
La Chiesa per
gli uomini nella società della schiavitù è una meta
turistica, dove si trova sollievo dall'ostilità invidiosa, dal
risentimento che circonda tutto e mitre tutti. E nella Russia contemporanea di
norma non è neanche tanto un sollievo; dopo l'alluvione di neofiti, in
particolare tra le fila del clero, la maggioranza nella Chiesa è composta
da persone con la psicologia degli eroi di Dostoevski] più infelici e più
nocivi per il prossimo. La forza dell'ortodossia non è nella capacità
di trasformare queste persone, di formarli come cristiani. È possibile
che non ne sia proprio capace.
La forza
dell'ortodossia in Russia sta nel fatto che l'alluvione di ostilità e
sfron-tatezza non si combatte con un articolato sistema di predicazioni,
direzioni spirituali, consigli degli starets: tutto questo appartiene al
passato, e anche se si sta cercando di ricostruirlo, succede come con le
frittelle: la prima è sempre immangiabile. Al contrario, proprio laddove
l'ortodossia appare aali occhi di un occidentale decisamente fuori moda, neu
suoi silenzi, nella sua reticenza a denunciare e castigare i collaborazionisti,
i traditori, i nazionalisti, gli antisemiti, gli orno-sessual, i corrotti e i
faccendieri, proprio questa ortodossia è la forma necessaria del
cristianesimo per la Russia.
Se prudono le mani...
È facile entusiasmarsi per
la virtù della pazienza, quando si tratta della pazienza di una
vecchietta solitària, che risponde a tutto il male del mondo ripiegandosi
in se stessa, nel proprio duro lavoro. È più diffìcile
comprendere che sia il patriarca, sia il sacerdote o il
parrocchiano-intellettuale in Russia sono obbligati a rispondere al male
allo stesso
modo, non con il socialismo o l'azione politica, ma con un'attività
interiore a fronte di una passività esteriore, che alle persone
altamente responsabili appare come minimo un tradimento, tradimento non solo di
Cristo, ma spesso anche dei più minimi obblighi morali. È
difficile da comprendere per un occidentale, ma è diffìcile da
capire anche per un russo; prudono le mani dalla voglia di fare qualcosa. E
solo quando vedi quanti disastri combinano queste mani, quando le si lascia
fare, dove vanno a finire le buone intenzioni in un sistema di
schiavitù, solo allora cominci ad apprezzare la capacità di
seguire Cristo, fermandosi sul posto.
L'uomo sovietico come tipo religioso
La Nuova Europa. Rivista internatinale di Cultura. Bergamo. Ottobre
1992. Anno 1 Numero 5 (245).
«Sovok» è un neologismo scanzonato
oggi in gran voga in Russia: le sue sfumature abbracciano innumerevoli
aspetti della realtà, ad indicare tutto ciò che è
in rapporto o frutto della cultura e del sistema sovietico. Krotov,
pubblicista e studioso di Berdjaev, fornisce qui un 'agile e inedita
disamina del «sovok» come fenomeno religioso, che accanto
agli indubbi aspetti negativi o quantomeno ambigui, ha avuto il
merito di permettere all'anima umana di sopravvivere e di resistere
in qualche modo all'utopia ideologica. Parallelamente alla traduzione
italiana, il saggio di Krotov esce in russo su «Novyj Mir»,
n. 5, 1992.
Disamina di un neologismo
La parola sovok è nata come insulto. Forse è
proprio la parola più offensiva tra tutti i neologismi coniati
negli ultimi tempi. Allo stesso modo, probabilmente, offendevano gli
eretici soprannomi come «monarchisti» e «flagellanti»,
epiteti che sembrano belli e altisonanti adesso che queste eresie
hanno smesso di far rumore. Dio voglia che anche la parola sovok
possa suonare un giorno neutrale, senza offesa per nessuno. L'importante
è che questa parola, mostruosa e repellente all'atto del suo
apparire, non ricalchi le sorti della parola «bolscevico»,
tanto disprezzata all'alba e al tramonto del nostro secolo, ma così
trionfante nei lunghi decenni centrali... Tutto questo del resto non
significa che il contenuto che si cela dietro il famigerato sovok
meriti solo ingiurie. Qualunque cosa si nascondesse dietro questa
parola, era pur sempre una realtà estremamente viva. Finché
non esisteva nulla eccetto il sovok, faceva paura; lo si detestava
e lo si combatteva, come si detestano e si combattono i genitori:
non i nemici, appunto, ma i propri avi. Con il passar del tempo il
sovok si indebolisce, perde i denti, e come in ogni fragile
vecchietto, foss'anche un ex-carnefice, si manifestano tratti molto
umani, miti, attraenti per la loro autenticità e verità.
Oggi sovok ha come minimo tré significati. Innanzitutto
è un paese, affondato all'improvviso come Atlantide, che
incarnava una minaccia per il mondo e la dimora del male. Simili
regni [97]
mitici non sono troppo interessanti per chi vi ha abitato real-mente,
mentre suscitano l'ardente curiosità degli stranieri. In
secondo luogo sovok è un vizio o un'accolta di vizi
meritevoli di ogni condanna: dall'infantilismo al paternalismo,
dalla cleptomania alla xenofobia. Ma anche un vizio o un'accolta
di vizi non sono più interessanti di una scheggia. Studiare
il sovok come ricettacolo di tali vizi è altrettanto
assurdo che studiare gli uomini punti da una scheggia separatamente
da tutti gli altri.
Tuttavia sovok sta ad indicare anche uomini in carne ed
ossa, un tipo mentale, psicologico, e addirittura spirituale a sé
stante. Circa questi ultimi non è il caso di riderci sopra,
mentre è interessantissimo studiarli. Il sovok è
vissuto ed è tuttora vivo, e come tutto ciò che vive
è abbastanza misterioso e sfugge ogni defini-zione. Il momento
di studiare il sovok è proprio adesso. Ieri «mancava
la distanza tra l'oggetto di studio e lo studioso». Ognuno
di noi, indipendentemente dalla condizione sociale, dal tipo di
occupazione, dal livello intellettuale era un sovok. Domani
sarà tardi per studiare il sovok: morirà altrettanto
improvvisamente, fulmineamente del grande Sovok, e non rimarranno
che dei brandelli sparsi di feuilleton.
Le riflessioni sul sovok come tipo propriamente religioso
non sono casuali. Ogni tipo umano è vivo in quanto è
religioso, tale è la convinzione dell'autore. Lui stesso
indubbiamente è stato un classico sovok per anni,
fino alla conversione alla fede cristiana, e dopo il battesimo un
sovok per inerzia. I concittadini, gli uomini sovietici,
appaiono un fenomeno straordinario proprio dal punto di vista religioso.
Il sovok si piega alla cristianizzazione peggio di ogni altro
tipo religioso con cui abbia avuto a che fare la Chiesa lungo tutto
l'arco della sua storia. Ad un primo sguardo, molto superficiale,
il sovok produce l'impressione di un buco religioso, di una
nebbia, una palude. Sembra che questa sostanza sia fatta apposta
per soffocare sistematicamente ogni moto o tensione spirituale.
Ma d'altra parte non si tratta di una sordità al cento per
cento, come appare evidente dall'indubbia rinascita religiosa cui
si assiste in Russia ai giorni nostri (non così profonda
come vorrebbero i cristiani, ma neppure così gracile come
la raffigurano gli atei).
La personalità del sovok, naturalmente, porta in
sé l'orma del Sovok come sistema, ideologia, paese.
Ma solo fino ad un certo punto! I lati peggiori della «sovieticheria»,
quelli che galleggiano in superficie e si attirano da sé
le stangate, appartengono al Sovok nel suo insieme, più
che alla gente che vi abita. Nelle sue Note di uno storico della
religione padre Aleksandr Men' aveva dato una definizione semplice
e sobria di questi lati peggiori: «Uno dei segreti del successo
dello stalinismo consiste nell'aver creato un vacuum religioso,
e nell'aver fatto rifluire in un unico alveo le aspirazioni ataviche
e spirituali degli uomini. Ha saputo [99]
fondere nella coscienza del popolo l'ideale supremo, "misura di tutte
le cose" con la mitica figura del Capo e in tal modo l'ha ammantata
degli attributi della divinità e dell'autorità illimitata»1.
La religiosità sovok è un «rigurgito dell'umanodivinità
pagana», incanalato in nuove forme.
Questo è certamente vero. La lotta contro il sovok
che è in noi, come falsa coscienza religiosa, deve cominciare
proprio a questo livello. Ma questa religiosità non rappresenta
di per sé una novità: lo stesso padre Aleksandr Men'
la rintraccia lungo l'arco di almeno tré millenni. Propriamente,
si tratta del tipo di religiosità dominante fin dall'epoca
del peccato orginale: il desiderio di Adamo ed Èva («saremo
come dei») è l'istante del suo sorgere. Ogni orgoglio
umano è deformazione dell'autentica religiosità in
una religiosità dove la persona umana diventa misura di tutte
le cose e oggetto di venerazione.
In tutta la sua banalità questo aspetto del sovok
è estremamente pericoloso. Una simile religiosità
è in grado di restare fedele a se stessa, senza turbarsi
se cambia l'oggetto concreto della venera-zione. Stalin può
venir sostituito addirittura da Cristo, i ritratti dei fondatori
del sistema possono venir nuovamente rimpiazza-ti dalle icone, il
Capitale dal Vangelo, i Consigli d'un assente2
dai Racconti del pellegrino russo. Ma nel tipo di religiosità
non cam-bierà niente. Le labbra professeranno la fede nel
Dio-uomo, ma l'anima rimarrà devota alla religione dell'uomo-dio.
Ma non è la devozione all'uomo-dio a fare del sovok
un sovok. A rigor di logica tutto il mondo europeo contemporaneo
non può essere denominato cristiano appunto perché,
quali che siano i principi proclamati dai politici o le massime
stampate sui soldi, esso è devoto proprio a questa religione.
I democratici in quanto fautori degli ideali dell'individualismo
e dell'umanesimo sono stati e sono per la maggioranza portatori
dello stesso culto. Hitler e Stalin, il fascismo e il comunismo,
rappresentavano una minaccia per questa civiltà la cui religione
potremmo definire come «americanismo», ma si trattava
di una minaccia interna e non esterna. Non si trattava della lotta
fra due principi eterogenei, ma della lotta fra due sottospecie
di un medesimo tipo di religiosità, umano-divina. A lottare
fra loro erano l'orgoglio individuale e l'orgoglio collettivo. Fortunatamente
ha vinto il primo: se avesse vinto quello «collettivo»
l'uomo sarebbe scomparso dalla faccia della terra e non saremmo
qui a parlarne.
L'altra componente della religiosità contemporanea, la cui
variante russa è divenuta il socialismo sovietico, era già
stata definita all'inizio secolo. Si tratta della fede nel progresso,
nella possibilità di realizzare il regno di Dio su questa
terra: una fede con un'enorme quantità di sfumature, dall'ardente
millenarismo dei taboriti fino al freddo calcolo degli illuministi.
Questa fede ha animato i padri fondatori della Nuova Inghilterra
e ha ispi [100]
rato i seguaci di Marx. Nel XIX secolo lo spirito del progresso veniva
considerato un fenomeno antireligioso. Invece in tutte le sue varietà
esso è figlio dell'escatologismo biblico e ha conservato dei
tratti puramente religiosi.
La fede nel progresso è una percezione del mondo eccezionalmente
luminosa, che talvolta può sembrare addirittura idiota nel
suo ottimismo. Anche se a rigor di logica la linearità non
è una qualità evidente del progresso, chi crede nel
progresso crede proprio nella sua linearità, considerando
tutte le sue tortuosità e i suoi passi indietro come manovre
di forze oscure. Ma in questo senso è una fede. Sono uscite
dalla scena storica le sottospecie di questa fede che non hanno
saputo mantenere il dovuto equilibrio tra persona e comunità,
cioè il fascismo e il comunismo. Ma la stessa atmosfera di
baldanza, di freschezza, di sicurezza ed energia creativa che permeava
i film sovietici degli anni '30 è straordinariamente affine
non solo allo spirito del fascismo, ma anche allo spirito dell'americanismo,
e molti americani hanno notato questa affinità.
L'uomo oltre l'utopia
Tuttavia la fede negli idoli e la speranza nel progresso non pos-sono
costituire un fenomeno religioso compiuto, vivo. Deve esserci anche
una terza componente, l'amore. L'Unione Sovietica non era una formazione
religiosa, ma era un tipo religioso il suo abitante. E l'uomo vivo,
vivente, ha bisogno ogni minuto, ogni secondo di calore e di bontà.
Il calore e la bontà, che costituiscono la cosa più
importante nella religione, che fanno di ogni religione non un'ideologia,
ma un'espressione cordialmente ed autenticamente umana, esistevano
- ed esistevano per davvero! - anche negli uomini sovietici. Ecco
perché tutte le possibili antiutopie, da Zamjatin a Orwell,
nonostante tutta l'esattezza con cui smascheravano il sistema non
convincevano quando parlavano degli uomini che in questo sistema vivevano.
In effetti questi uomini non erano schizofrenici tormentati, svuotati:
erano uomini nel senso pieno della parola, sapevano soddisfare, senza
ribellarsi all'ideologia ma restando al suo interno, i bisogni religiosi
cui l'ideologia non dava risposta.
L'uomo sovietico aveva bisogno di un fenomeno religioso che era
sconosciuto agli storici delle religioni, come pure agli organi
competenti, di un rito che potesse esistere tranquillamente all'interno
della gelida religiosità ufficiale. Bisognava elevarsi ad
un rapporto diretto con l'ente supremo, costituire una mistica non
solo ideologica ma quotidiana. Il comunismo in quanto ideologia
può considerarsi solo una parodia della religione proprio
perché era troppo freddo e disincarnato, andava bene solo
per i giorni festivi del calendario, ma non per i giorni feriali,
[101]
non sapeva dare un significato religioso alla vita quotidiana, non
risolveva assolutamente il problema della morte e neppure quello della
vecchiaia.
La religiosità della compagnia
Non c'è niente che sia impossibile all'uomo: e gli uomini sovietici
conoscevano una spiritualità viva, che forse non era stata
in grado di creare valori culturali eterni, ma che indubbiamente ha
saputo saziare la fame religiosa di almeno tré generazioni.
Descrivere l'oggetto di tale religione è oltremodo difficile:
se esso sfugge alla vigilanza ideologica dei bolscevichi, al controllo
da parte della coscienza dello stesso uomo sovietico, lo studioso
naturalmente potrà evidenziarlo solo mantenendo un certo distacco.
L'uomo sovietico ha deificato un aspetto alquanto inatteso del
mondo creato, e l'analogia più prossima è riscontrabile
nel panteismo. La religiosità che scorge Iddio nella natura
esiste dall'antichità, ma la religiosità sovok
ha visto Dio non nella natura circostante l'uomo, bensì nella
natura delle stesse relazioni interpersonali. La compagnia è
stata trasformata da fenomeno secondario rispetto all'uomo e alla
natura, in fenomeno primario, è stata presentata come natura
sui generis e addirittura più che natura, come Dio.
Si è trattato di una conquista grandiosa, sia religiosa
che filosofica e naturale, simile - e contemporanea - alla scoperta
della noosfera da parte di Vernadskij. Nel corso dei secoli gli
uomini avevano sempre aspirato alla compagnia con Dio, ed eccoli
aspirare alla compagnia come a Dio. La compagnia è stata
vista come l'unica realtà esistente, l'unica valida, che
determina tutte le altre esistenze e significati. Lo spazio della
compagnia è divenuto più materiale di ogni altro spazio
fisico. Per questo la «sfera dei rapporti umani» può
essere chiamata più elegantemente «spazio della comunitarietà»
oppure addirittura «ambiente comunitario», «natura
comunitaria», per brevità «comun-natura».
Teoricamente la possibilità di tale struttura religiosa
era già stata esaminata in precedenza, da Feuerbach. La sua
divinizzazione dell'umano si avvaleva del concetto di compagnia
come dato religioso chiave, puntava sull'amore per l'umanità.
Ma, innanzitutto, Feuerbach si era limitato solo ad alcune costruzioni
teoriche, mentre ad incarnare l'utopia siamo stati noi. In secondo
luogo, e questo è più sostanziale, per Feuerbach erano
prioritarie le entità classiche della filosofia europea,
l'uomo, la stirpe, il dialogo, l'amore. Il sovok invece ha
realizzato un atto creativo nel più profondo senso della
parola, ha creato qualcosa di nuovo: la compagnia come valore a
sé stante. L'uomo invece - e il genere umano - interviene
qui come qualcosa di seconda- [102]
rio, per così dire, accessorio. La «comun-natura»
si è rivelata straordinariamente antipersonalistica, annullando
l'uomo, sostituendo o ricostruendo con disinvoltura l'una o l'altra
persona. La natura ontologica, fondante della «comun-natura»
la differenzia radicalmente dalla concezione tipica europea di compagnia
come atto positivo compiuto dalle persone. Nel Sovok è
la compagnia a creare gli uomini: ma degli uomini prodotti dalla compagnia
sono ultimamente qualcosa di antiumano! Purtroppo questa antiumanità
si è manifestata parallelamente all'antiumanità del
bolscevismo, e questo ha contribuito a far sì che l'ideologia
dei boia penetrasse nella vita, ma d'altra parte ne ha attutito almeno
in parte il colpo. La dedizione alla compagnia era profondamente emotiva
e in questo senso ha colmato il posto vacante dell'amore nella pseudoreligione
comunista. Ma proprio quella che sembrerebbe una venerazione innocente
della «comun-natura» indica quanto sia letale la venerazione
di qualunque cosa che non sia il Creatore. Perfino la compagnia, l'amore,
nel ruolo di divinità hanno dimostrato a sufficienza la propria
crudeltà. D'altra parte però, prima di parlare delle
magagne della religiosità della «comun-natura»
bisogna considerare attentamente i pregi di questo unicum spirituale.
Ideali religiosi della «comun-natura»
La religione della «comun-natura» era l'unica possibile
nella situazione sovietica. Non le si richiedeva neppure quel minimo
di ritualità che esiste nella deificazione della natura o nella
venerazione dello spirito degli antenati. Era impossibile cogliere
in flagrante quelli che professavano questa religione, perché
non avevano bisogno ne di sacerdoti ne di testi sacri, potevano essere
in perfetta sincerità comunisti o dissidenti, beoni o astemi,
uomini di cultura o ignoranti. Non tutti credevano al comunismo, esistevano
anche gli eretici; ma non esistevano eretici che intervenissero contro
la compagnia. Il comunismo imperava come religione, ma la religiosità
veniva soddisfatta attraverso la venerazione non della «comune»
bensì della «comun-natura».
Si trattava di una religiosità molto personale, molto calorosa
e ispirata, molto toccante e lirica! A differenza del comunismo
essa aveva in sé quello che permette all'anima umana di non
morire: l'impeto verso l'altro, il superamento dei propri limiti.
Senza creare un proprio culto, incanalandosi nel culto comunista
ufficiale, il sovok (ripugnante come tipo politico ed economico),
in qualità di tipo religioso ha creato una propria subcultura,
abbastanza confortevole ed intima 3.
Quest'ultima ha un forte sapore di romanticismo, e in effetti tipologicamente
il romanticismo è molto vicino al panteismo, alla deificazione
della natura. Ma invece dei paesaggi romantici, nella cultura sovietica
il [103]
genere preferito e più sviluppato è diventato non il
romanzo politico o sociale, come avrebbe voluto la fede comunista
ufficiale, bensì lo schizzo lirico del mondo interpersonale.
Aspettami di Konstantin Simonov non è certo un capolavoro
artistico, ma è un capolavoro di poesia religiosa, un inno
non all'amata o all'amore (non c'è traccia di queste parole),
bensì all'attesa, ad un'attesa escatologicamente drammatica
dell'eone in cui la compagnia fra i due diverrà piena realtà.
Un tipico gesto religioso sovietico è stata la traduzione
dei sonetti shakespeariani ad opera di Marscak. Non è un
caso che come terreno di coltura siano stati presi proprio questi
sonetti, di cui molti non sappiamo neppure a chi siano indirizzati,
se ad un uomo o ad una donna. Per la «comun-natura»
l'amore è qualcosa di alieno, addirittura eretico (l'amore
è un dono di Dio o della natura, ma non si identifica con
la compagnia in quanto tale, esso va addirittura al di là
della compagnia, fondendo let-teralmente gli amanti in una cosa
sola); dal punto di vista della religiosità tradizionale
o del culto romantico dell'amore, i sonetti shakespeariani di Marscak
sono straordinariamente tiepidi, depurati dell'elemento principale
in Shakespeare (e nell'amo-re): l'energia della passione. In compenso
vi compare l'elemento principale della religiosità sovok,
una tenera malinconia: la tenerezza proviene dalla fede nella compagnia
come fonte della vita e della creatività, e la malinconia
dal riconoscimento dell'abisso che separa l'uomo da questo ideale.
E capolavori lirici di questo genere sono numerosi fra quei poeti
di terza categoria dal punto di vista tradizionale che per decenni
sono stati il cuore della spiritualità sovok e a cui
successivamente hanno cominciato ad opporsi gli ortodossi (dal punto
di vista della cultura mondiale tradizionale) Pasternak, Mandei'sctam,
Achmatova.
Il capolavoro che esprime l'ideale religioso della «comunnatura»
in prosa è il romanzo II maestro e Margherita. Il
romanzo fu scritto all'alba della religiosità sovok;
la censura ne fece un martire, ma divenne un simbolo dell'opposizione
politica solo per una minoranza di lettori Ч e giustamente. Infatti
nei suoi fondamenti il romanzo non si oppone al comunismo, vive
piuttosto in un mondo parallelo. Si può essere suoi ammiratori
senza mutare di uno iota i precetti di Marx-Lenin-Stalin. L'elemento
principale nel romanzo non è la denuncia delle repressioni,
così come non vi troviamo neppure una briciola di apologià
del cristianesimo. Il romanzo non è incentrato neppure sull'amore,
in ogni caso i rapporti fra il Maestro e Margherita, tratteggiati
nelle migliori tradizioni romantiche, sono senza vita, relativi
e irreali. Reali e strazianti sono invece i tormenti di Filato,
reali e drammatici i sogni di conversare con gli amici, reale e
profondo il disgusto per il mondo della rivoluzione, non per i suoi
principi politici o sociali, ma proprio perché tenta di distruggere
la [104]
cosa più sacra, la compagnia fra gli uomini, imprigionando
ciascuno (non obbligatoriamente in senso letterale) nella solitudine
dello spirito. Mi sembra di aver già «azzeccato»
a sufficienza, come avrebbe detto il Maestro, e non starò a
moltipllcare all'infinito gli esempi di professione di fede nella
«comun-natura» presenti nell'arte del periodo sovietico
in opere di differente qualità e stile, di diverse provenienze
e generi letterari. Ci abbiamo insistito anche troppo. Non si può
tuttavia fare a meno di citare un fenomeno possente come Bachtin,
che come adesso ormai riconoscono tutti, non fu un critico letterario,
ma nemmeno un filosofo: egli fu propriamente un pensatore religioso
sul tipo di Berdjaev, solo che per lui non era la libertà il
valore religioso supremo, di cui vedeva ovunque i barlumi, ma la compagnia.
La vera e propria fioritura del sovok come tipo religioso
cade, naturalmente, in epoca poststaliniana, quando la religione
ufficiale era divenuta veramente regale: regnava, ma non dirigeva.
Il contenuto principale e il bilancio del disgelo si identificano
nel trionfo spirituale della compagnia, nell'estasi del suo impeto
in grado di sfondare il maggior numero possibile di barriere. Era
proprio questo, e non l'opposizione politica, che combatteva il
bolscevismo agonizzante. Erano sospetti gli ideali religiosi della
«comun-natura», non quelli della democrazia (si tratta
di cose assolutamente diverse e non sempre compatibili, giacché
la democrazia può creare un ambiente sociale che annulla
i legami interpersonali e ne fa piazza pulita meglio del bolscevismo).
Ciò che dal punto di vista politico sembra una caotica ed
insensata persecuzione di uomini perfettamente estranei ad ogni
opposizione politica, di comunisti sinceri o quanto meno di scrittori,
registi, credenti per nulla affatto politicizzati, è stata
in realtà una persecuzione del sovok come tipo religioso.
Tali persecuzioni non possono essere considerate alla stregua di
un semplice fenomeno di totalitarismo, poiché molte realtà
- esplicite portatrici di un pensiero libero - non venivano perseguitate.
(Ad esempio la Chiesa veniva tollerata, poiché consentiva
a limitare la venerazione a Dio senza stabilire rapporti interpersonali).
Era considerato un dissidente religioso chiunque raccogliesse una
cerchia di persone anche solo per pregare o per leggere la Scrittura.
In campo artistico era un dissidente Tarkovskij, ma tutto quello
che c'è di sovversivo nei suoi film, e più in generale
il contenuto principale ed unico dei suoi film, è un puro
inno religioso non all'uomo, alla patria o ai valori spirituali,
ma alla compagnia, al dono e alla tradizione della compagnia: nostalgia
e preghiera per la compagnia.
Naturalmente Tarkovskij, Bulgakov, e anche lo stesso Simonov, sono
tutti intellettuali del Sovok di cui la maggioranza degli
abitanti del Paese dei Soviet non aveva neppur sentito parlare.
[105]
Nella vita quotidiana la religione della «comun-natura»
si incarnava negli innumerevoli festini, serafino, chiacchierate,
sbevazzate (oh Veniczka, profeta della «comun-natura»!4),
in tutte le possibili ricorrenze e compleanni festeggiabili sul
lavoro e a casa. Per il sovok della strada - ma del resto
anche per l'intellettuale - una delle supreme espressioni del culto
della compagnia era diventata una trasmissione come «Fuocherello
turchino», o anche «II club degli allegri festaioli»
e «La bettola delle tredici sedie»5.
All'alba della nostra televisione l'ideologia ufficiale non se n'era
accorta, ma poi ha cordialmente stroncato ogni tentativo di compagnia
via etere, così che «Fuocherello turchino» ha
ceduto il passo ad un programma di concerti. Era stato un «banchetto
dello spirito», analogo a modo suo alle «agapi dell'amore
fraterno» dei primi cristiani.
I «peccati» del sovok
Per comprendere tutta l'originalità del sovok come fenomeno
religioso, bisogna riconoscere la sua qualitativa irriducibilità
sia al principio comunitario della tradizione storica russa, sia al
principio della comunione ecclesiale, sia al sociocentrismo marxista,
sebbene il sovok abbia usato tutto ciò come materiale
per una costruzione che non riguardava ne la comunità, ne la
parrocchia, ne tanto meno la società. Il sovok non si
orientava neppure verso il singolo vicino, che fosse prossimo o lontano,
amico o nemico. Valore supremo e centro della realtà per lui
erano proprio i rapporti, che costituivano la fonte di tutto,
il metro di tutto: i buoni rapporti vivificavano la vita, mentre quelli
cattivi la uccidevano.
È chiaro che come ogni fenomeno vivo la religiosità
sovok non era univoca; era qualcosa di vivo, e questo forse
era il suo unico pregio. Di vizi ne aveva a bizzeffe, e per di più
tali da conferire al termine «sovok» un significato
ingiurioso. Ecco alcuni esempi.
Il panteista non può giudicare la natura dal punto di vista
della morale; così Giobbe non può giudicare Dio da
questo punto di vista. Parimenti al sovok non è dato
di giudicare la sfera delle relazioni interpersonali, che per lui
rappresenta una natura valida in sé e deificata. Per il panteista
il bene e il male non esistono in natura, essi compaiono con il
distacco dell'uomo dalla condizione «naturale», «dallo
stato di natura». Per chi crede in Dio, il bene e il male
non esistono in Dio, compaiono nella vita estraniatasi da Dio, dopo
la cacciata dal paradiso. Ma se Dio è la compagnia, allora
bene e male cominciano laddove si rompono i rapporti fra le persone.
Tuttavia praticamente questo è un assurdo: l'uomo è
sempre incorporato in una struttura di compagnia, è come
se si trovasse continuamente all'interno della propria divinità,
cosa che per il cristiano rappresenta solo il culmine [106]
delle sue aspirazioni. Di conseguenza il sovok è amorale,
convinto di «non aver mai fatto del male a nessuno». Il
concetto di peccato gli è ignoto. Per questo motivo, e assolutamente
non per immaturità culturale, la villania è divenuta
una caratteristica immancabile del modo di stare insieme dei sovok.
Così, chi crede nel sesso si permette di andare molto più
in là di chi crede nel Creatore, che ha creato anche il sesso.
Il sovok svillaneggia non per cattiva intenzione, ma per purezza di
cuore, dimostrando l'unità spirituale con colui che svillaneggia.
Se qualcuno svillaneggia un sovok, questi reagisce fiaccamente
e senza molta convinzione, ma non boicotta il villanzone: questo infatti
non sarebbe più rendere pan per focaccia, ma un sacrilegio.
Per il sovok il peccato è uno solo: trovarsi fuori
della sfera dei rapporti interpersonali. L'autentico peccato è
l'essere rinnegati. E qui che si vede quanto la «comun-natura»
differisca dalla «società». Infatti la società,
a differenza della compagnia, nello spazio del sovok praticamente
è crollata, è diventata amorfa, ha perso la stratificazione.
L'intellettuale, il funzionario, il contadino usavano con pari soddisfazione
il gergo della malavita, e i detenuti dei lager troppo spesso si
rivelavano non dei delinquenti, ma degli intellettuali, funzionari,
contadini assolutamente innocenti, che avevano conservato tutti
i loro tratti sociali distintivi. La crema della società
ne era diventata il rifiuto, e gli ultimi erano diventati i primi
(e i generali). Non solo dal punto di vista della legge, ma anche
da quello della psicologia il governo era una banda di delinquenti.
Gli accademici - come ambiente complessivo - per maniere e concezioni
si discostavano ben poco da un'accozzaglia di beoni al chiosco della
birra. Questo era quanto avveniva nella società. Ma nella
sfera della compagnia imperava una propria gerarchla. Non si poteva
considerare malvagio e delinquente uno che fosse pronto a contarla
su, a dividere la bottiglietta, qualunque opinione ne avesse la
società. Sospetto, maligno, quasi un traditore appariva invece
chi - destro o sinistro, dissidente o agente del KGB - era eccessivamente
riservato, «chi si teneva troppo su», chi si schermiva
dalla compagnia. Quanti gesti assolutamente immorali dal punto di
vista cristiano si sono compiuti negli anni del potere sovietico
per paura di sembrare rinnegati, e non necessariamente dalla società,
ma proprio dalla compagnia: e poteva succedere in famiglia come
nella brigata di lavoro, o in una baracca di lager. Ma al tempo
stesso quanti sono stati aiutati dal culto della compagnia a restare
uomini in situazioni totalmente disumane!
Naturalmente, nessuna società ha in simpatia le persone
troppo chiuse, sospettando che una forma di vita riservata celi
delle azioni immorali. Ma qui la riservatezza, voluta o involontaria,
effettiva o apparente, era già di per sé un'immoralità.
La deificata «comun-natura» conosceva un unico peccato,
il distacco.[107]
La dimensione del passato
Naturalmente, l'uomo sovietico è riuscito comunque a creare
un'originale tipologia di comportamente religioso positivo, adatta
a tutti i giorni, capace di assimilare tutto quello che può
capitare al mondo. Nello stesso momento in cui l'ideologia ufficiale
incitava continuamente ad andare avanti, a costruire, ad agire, il
sovok affermava come tipo supremo di comportamento non l'operosità
o la creatività, ma il mantenimento di uno spazio interpersonale,
la fedeltà alla bontà e all'apertura. (E straordinario,
lo sottolineiamo ancora una volta, come ciò concretamente convivesse
con la diseducazione, la malvagità, la villania [108]
anche nei rappresentanti più raffinati, morigerati e colti
di questa razza). Le tradizioni della cordiale ospitalità ricevevano
qui qualitativamente una nuova evoluzione e un nuovo posto, che non
avevano in nessun'altra società patriarcale.
Il culto della compagnia in qualità di religione è
motivato dall'inattingibilità ed irrealizzabilità
di un ideale assoluto di comunione. Ciò ha condotto ad una
conseguenza originale, la «nostalgizzazione» della vita.
La religione ufficiale del comunismo richiedeva di vivere la dimensione
del futuro, ma il sovok viveva del passato. Il sovok
non si aspettava niente di buono dal futuro, ma in cambio padroneggiava
tutti i possibili tesori sacri del passato. A questo riguardo anche
il sovok più giovane era ammantato, agli occhi di
un «normale» europeo, di un'anima profondamente senile.
Il sovok era straordinariamente incapace di compagnia nel
senso di un processo aperto al futuro, perché la compagnia
era il tesoro, la reliquia suprema, trascendente questo mondo. Solo
che invece di situarsi in cielo, lo spazio della compagnia ideale,
perfetta si collocava nel passato. La cosa migliore, più
preziosa e sacra erano le memorie, dove le conquiste realizzate
sulla strada verso la compagnia si purificavano dalle circostanze
accessorie e dai peccati, e il passato veniva ricordato come compagnia
ideale. «Ce la siamo passata bene in compagnia» era
il vertice religioso del sovok, capace di passare un'intera
serata mettendo a tema dell'odierna compagnia unicamente la compagnia
fattasi il giorno prima, lasciandosi andare a nostalgici ricordi
di come si era stati bene in compagnia per l'innanzi. E una settimana
dopo i sovok nuovamente riuniti avrebbero ricordato anche
quella serata come un banchetto dello spirito e una conquista religiosa.
L'ideale religioso sembra realizzabile solo nel passato, e lo sforzo
religioso del sovok è lo sforzo di diminuire al massimo lo
scollamento fra passato e futuro.
Il sovok alla prova del cristianesimo
Gli studiosi del sovok che non vivono nel Sovok dovranno
tener conto che il sovok come realtà che ha raggiunto il suo
apice si differenzia completamente dal sovok come realtà
degenerata e tanto più come realtà da feuilleton.
Il sovok tanto disprezzato dalla Russia odierna non è
l'autentico sovok, ma un anello intermedio, una tipologia di
transizione dal sovok al pezzente. Il sovok naturalmente
non è mai stato un insulso ottimista come gli eroi dei film
staliniani, ma anche la persona che guarda male, senza speranza il
futuro, non è un sovok. Il sovok si poteva farlo
morire di fame, torturarlo, togliergli tutto, ma non si sarebbe mai
la-mentato ne avrebbe fatto piagnistei come si lamentano o pia-gnucolano
gli abitanti della Russia.
Il sovok prendeva tutto con tranquillità. Questa
tranquillità [109]
non si spiegava con la filosofìa marxista o con la fede nei
luminosi ideali, ma con una religiosità che aveva una propria
ascesi e preferiva sopportare privazioni di ogni genere piuttosto
che separarsi a causa di malumori e brontolamenti dal proprio tesoro
spirituale, la compagnia. Il Sovok, quando glielo consentivano
le risorse, constava di un sistema di distribuzione in cui tutto era
disponibile non al compratore, ma a chi sapeva stare in compagnia
«alla-sovok»: con sincerità, larghezza d'animo,
senza secondi fini. Tale gratuità veniva ricompensata con l'inserimento
nel sistema di distribuzione. L'assenza di gratuità è
incompatibile con la religiosità sovok, la mina, aprendo
la strada al ben noto e ripetutamente descritto filisteismo dello
spirito.
Il sovok può condurre alla disperazione il missionario
cristiano. Questo tipo religioso non prova quell'inquietudine, non
pone quelle domande che nel corso dei millenni sono sempre state
considerate fondamentali per la vita religiosa dell'uomo. Come combattere
il peccato? Come opporsi alla morte? Come trovare se stessi? Come
salvarsi? Come è nato il mondo? Tutto questo non preoccupa
il sovok, per lui sono falsi problemi, che non si levano
sul suo orizzonte. Qui il sovok per l'appunto non è
molto originale: la deificazione della comun-natura porta i medesimi
frutti della deificazione della natura semplice. Per il panteista
non esiste il problema della salvezza, del peccato, della libertà;
a tutto questo egli risponde «tale è la vita»,
e al problema della morte, «la vita continua». Esattamente
così risponde il sovok al problema della morte: «la
compagnia continua». La memoria dei morti (non il culto degli
antenati, la venerazione degli antenati, ma semplicemente il ricordo
dei defunti) è la parte più importante della religiosità
sovok; si tratta di un ampliarsi della sfera della compagnia che
non si da alcun pensiero della misteriosa e inattingibile profondità
di colui con cui si comunica.
Non c'è niente da dire, si tratta di una falsa religione.
La compagnia è effettivamente una seconda natura, ma la seconda
natura, come anche la prima, non è Dio ma la creatura. E
tuttavia il sovok è pienamente raggiungibile dalla
predicazione del Vangelo. Chi venera la natura venererà Dio
se si accorgerà che la natura acquisisce il suo pieno valore
solo attraverso lo Spirito Divino. Chi venera la comun-natura, la
compagnia, venererà Dio se si accorgerà che solo al
cospetto di Dio la compagnia si trasforma da idolo in vivo valore
spirituale, che il comandamento «ama il tuo prossimo»
comprende anche «fa' compagnia al tuo prossimo». Come
ogni tipo religioso, il sovok ha il suo posto nel progetto
divino sul mondo, ha il suo posto e il suo compito nella Chiesa.
Nelle parrocchie e nelle comunità che accoglieranno in sé
gli «abitanti sovietici», il popolo credente forse non
diventerà più capace d'amore, ma indubbiamente diventerà
più aperto e comunicativo.
1. Na puti k svobode sovesti (In cammino verso
la libertà di coscienza). Mosca, Progress 1989, p. 91.
2. Un articolo scritto da Lenin nell'ottobre 1917
sulla tattica organizzativa dell'insurre-zione armata a Pietroburgo.
ndt
3. Questa subcultura era al-l'interno della cultura
ufficia-le del Sovok, ma in questo caso il parassita era proprio
la grande cultura, che attin-geva energia dalla «comunnarura".
4. Venedikt Erofeev (1933-1991), autore tra l'altro
della celebre novella Mosca-PetuSki, narrazione gustosa e fine-mente
satirica della vita so-vietica. ndt
5. Rispettivamente la tradi-zionale trasmissione-varietà
di Capodanno, e due pro-grammi satirici, il primo dei quali, abolito
alla fine degli anni '70, è stato ripreso recen-temente.
ndt
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