Stefano Caprio
INTERVISTA PER "MOSCOW MAGAZINE".
Che cosa significa essere "cattolico"?
LO SGUARDO E LA PAROLA
L'importanza dei libri sacri é una costante di tutta la
storia delle religioni, anche se non delle piú recenti: fu
soprattutto con il diffondersi della prima cultura "enciclopedica",
la cultura ellenistica, che si venne precisando il concetto di "libro"
sacro in cui é contenuta la parola stessa di Dio. Tali libri
erano indispensabili per la celebrazione dei culti misterici, riservati
agli iniziati a cui si consegnavano le istruzioni destinate agli
eletti. Anche nel sincretismo ellenistico, tuttavia, piú
che di "libro" bisognerebbe parlare di "scritture" al plurale, in
quanto il libro come strumento tecnico é un prodotto della
cultura moderna, che a sua volta si puó ormai ritenere superato,
in quanto soppiantato dagli elaboratori elettronici. Comunque, la
cultura scritta ellenistica riusci' a influire fortemente anche
sulla rivelazione ebraica, rendendo "libro" la stessa divina Torah,
la Legge mosaica, che si trasformó in "Talmud", raccolta
organica di insegnamenti. Tale influsso passó anche alla
teologia cristiana, dando vita a un'intera scuola di lettura del
sacro testo.
Originariamente, in effetti, la Bibbia é tutto meno che
un "libro", che presuppone un insieme di parole in sé concluso
e sufficiente. La stessa parola "Bibbia" (= libro) é di origine
ellenistica; gli antichi ebrei intendevano la Rivelazione come "Parola",
presupponendo la presenza di Colui che la pronuncia piú che
l'effetto, la conclusione del processo. La Parola di Dio é
Dio stesso, non "le cose che Dio dice". La stessa Legge non é
un codice, ma un dono, un nuovo modo di concepire la vita alla presenza
di Dio.
É quindi assai poco adeguato quell'atteggiamento che, di
fronte alla Bibbia, si pone anzitutto come "lettura". Cristo stesso
ha conservato il senso originario della Rivelazione divina, anzi
l'ha reso ancora piú assoluto: la Parola di Dio non solo
é la presenza stessa di Dio, ma addirittura presuppone la
sua presenza nella carne, cioé in tutte le caratteristiche
e i particolari dell'umana natura, comprese le "parole". Non solo
genericamente "la parola", bensi' tutte le parole di Dio sono inscindibili
dalla sua presenza nella realtá. Il primo atteggiamento che
si richiede é legato quindi ai sensi fisici, piú che
al senso intellettuale: vedere-toccare-sentire, prima che interpretare
e comprendere. La presenza di Cristo richiama infatti un rapporto,
un contatto, che precede sia l'ascolto che la decifrazione dell'espressione
linguistica, sia scritta che declamata: é un rapporto determinato
dallo sguardo, cioé dalla prima immediata percezione di una
presenza. Paradossalmente diremmo che la Bibbia va anzitutto guardata
e non letta, ovviamente intendendo con questo la contemplazione
di un volto e non di un testo.
La Bibbia infatti non ha vita propria, non puó essere separata
dal suo Autore. Non puó esservi parola di Dio "per corrispondenza";
essa é sempre contemporanea e con-spaziale a Colui che la
pronuncia. Lá dove tale Parola emerge nell'esperienza umana,
Dio non solo non é lontano, Egli é addirittura immanente.
É l'esclamazione del Deuteronomio: "quale Dio é cosi'
vicino"? Accostarsi alle Sacre Scritture significa quindi cercare
il volto di Dio, fissare lo sguardo su di Lui, cercare la corrispondenza
tra la parola e la realtá circostante. Il linguaggio della
Bibbia, diceva il grande esegeta Origene, é il velo che copre
il Mistero, necessario per non essere abbagliati dalla Sua luce,
ma insignificante senza la luce stessa. Tutta la realtá parla
di Dio, é luogo della Sua manifestazione, anche se sempre
in modo imperfetto, come imperfetto é infatti il linguaggio
umano, compreso quello della Bibbia. Quanto piú l'uomo si
avvicina al Mistero, e quanto piú il Mistero stesso si rende
visibile, tanto piú rarefatto e balbettante diventa il linguaggio:
esempio supremo di ció sono i racconti biblici della Risurrezione
di Cristo, cosi' scarni di informazioni e cosi' poco espressivi.
Il Cristo Risorto puó essere solo visto, perfino toccato
come desiderava l'apostolo Tommaso, ma non descritto a parole: della
vita divina si puó solo fare esperienza, non scriverla o
leggerla.
L'importanza della lettura della Bibbia, la "lectio divina", é
quindi totalmente subordinata all'esperienza di Dio nella vita stessa.
Non si raggiunge la fede attraverso la lettura, ma come dice l'Apostolo,
"ex auditu", attraverso l'ascolto dalle labbra stesse di Colui che
solo "ha parole di vita eterna". La spiritualitá biblica
é per sua stessa natura cristologica ed ecclesiale: mette
Cristo vivente al centro dell'esperienza di fede, prima ancora che
il suo messaggio, e quindi ammette il costituirsi di una realtá
umana nuova, di uno spazio e un tempo in cui la Parola salvifica
si fa carne, volto, storia.
Non é possibile leggere la Bibbia individualmente: ogni
lettura personale trae origine da una coscienza comunitaria, da
un "tu" pronunciato. Non si puó osservare Cristo "di lato"
o "da lontano", perché la Sua persona si impone come forma
piú perfetta e piú attraente di umanitá: al
massimo si puó odiarlo e combatterlo, ma non utilizzarlo
a sua insaputa. La lettura "libera" del testo biblico é quindi
infruttuosa, se per libera si intende individualista e arbitraria:
libera puó essere solo la parola "che libera", che permette
la libertá di andare oltre il velo, l'apparenza della realtá.
Chi ascolta la parola di Dio é chiamato a superare se stesso,
il suo limite, il suo modo di vedere e di pensare.
É ovvio che nessuna autoritá, né divina né
umana, potrá mai impedire di leggere i libri sacri a proprio
piacimento; anche quando uno Stato o una Chiesa dovessero provarci,
come é capitato in passato, la Bibbia si prenderebbe comunque
la sua rivincita. Da duemila anni, infatti, proprio la Bibbia é
saldamente in testa a tutte le clessifiche di vendita della letteratura
mondiale, come il libro piú letto del mondo. É l'autoritá
interna, la voce di Dio stesso che risuona attraverso le parole
sacre, che indirizza, esorta e impone una modalitá di lettura
che nessun altro libro, neanche religioso, puó suggerire:
quella modalitá in cui la parola cambia l'esistenza di chi
la ascolta. É, in fondo, l'ideale sognato da ogni scrittore.
Che cosa significa essere "cattolico"?
"Cattolico " é una qualitá. É totalitá,
universalitá, e, per essere compresa, presuppone un determinato
atteggiamento mentale. Anche se la cattolicitá della chiesa
cattolica é, primariamente, una rivelazione e partecipazione
della totalitá divina, anche se il suo accoglimento nell'area
umana é, primariamente, grazia, un'epoca della storia puó
esser letteralmente sopraffatta dalla pretesa che nei suoi confronti
avanza questa grazia, e ció sembra avvenire nella nostra.
Per noi, l'efficienza sta nella parte, nel "partito"; e l'alternativa
non é che un cosmopolitismo tanto tollerante quanto inefficiente.
La qualitá fa tutt'uno con la parte, la totalitá con
la mancanza di contorni; converrebbe vedere se una buona parte del
nostro ecumenismo non si faccia a prezzo della qualitá (per
il mondo antico oikumene era il perimetro geografico del mondo abitato,
la cosmo-polis), se per caso non somigli un pochino al sincretismo
religioso della Roma precristiana.
La catholica viene etichettata, per differenziarla, come " romano-cattolica
", come una sorta di clan fra tanti altri, e provoca dispetto il
suo non volersi inquadrare senza esitazioni nel consiglio ecumenico
delle chiese (la totalitá che si capisce senza difficoltá
alcuna). Per di piú, l'attributo " cattolico " é talmente
logoro, levigato dall'uso) che ogni confessione in cui si mantenga
il credo antico lo rivendica e l'interpreta a suo criterio.
La chiesa cattolica avanza una certa pretesa, che in base ai presupposti
in voga oggi ben difficilmente puó esser considerata ancora
valida, anche se poi é vero che una siffatta pretesa deve
suscitare scandalo e dispetto in qualsiasi epoca: quella di possedere
in quanto forma storico-sociologica, una rilevanza universale. All'uomo
moderno tutto questo appare come follia, presunzione, intolleranza.
Il tutto nel frammento
La pretesa del cattolicesimo fu meglio comprensibile in epoche
in cui si possedeva un'immagine del mondo graduata verticalmente.
La nostra immagine é improntata dalla mentalitá naturalistica
che, assolutamente legittima nell'ambito che le é proprio,
cerca di dissolvere i fenomeni tutti in senso orizzontale-quantitativo,
per renderli piú o meno intuibili e ricostruibili. Per contro,
un'immagine del mondo incentrata su di un asse verticale significa
che un tutto, ad esempio l'anima umana, puo presentarsi in una molteplicitá
di membra corporee, talché ciascuna di queste solo grazie
alla totalitá cui é subordinata puó esistere
ed esser ció che realmente é: ad esempio non un qualche
apparecchio per afferrare, sibbene una vera mano d'uomo. Se la mano
potesse pensare, comprenderebbe d'appartenere all'organo con cui
si esprime una totalitá che resta superiore alle singole
membra.
La nostra é in verita una similitudine claudicante, giacché
rispetto al principio che la vivifica la chiesa non sta nel rapporto
vigente fra un membro, o anche il corpo intero, e l'anima spirituale;
eppure é la similitudine di cui si serve Paolo come ausilio
alla comprensione.
Quel che c'interessa é il poter vedere o il non poter (piú)
vedere che una realtá ("gerarchicamente") sovraordinata puó
plasmare una molteplicitá subordinata in modo tale da elevarla
e assumerla nella sua propria unitá senza privarla della
peculiaritá che le compete. Una forma consegue se stessa
" sotto forma " di materia.
La forma che dá configurazione alla chiesa resta un mistero
divino, che in definitiva puó esser solo , creduto: Dio presente
nell'uomo Gesú Cristo in modo tale che questi rappresenta
realmente ed efficientemente l'umanitá intera, e con la sua
croce e la sua resurrezione riconcilia il mondo con Dio. Eccoci
piombati nel buio: che cosa accade, in realtá su quella croce?
Qual é il vissutoche vi si compie, vi si supera? (Nessuno
ha mai saputo dirlo.) E come la chiesa viene informata da quell'evento
(" io sono con-crocifisso con Cristo ", " voi siete risorti insieme
a Cristo ") in cui essa non si pone di sua iniziativa, ma da cui
viene resa da sempre ció che essa é? (Anche questo,
nessuno puo dirlo.) La catholica non esiste altrimenti che credendo
questo mistero, di cui é espressione essa medesima, e studiandosi
d'esser coerente a questa fede in modo da render testimonianza del
mistero con la parola e la vita. La misura della sua cattolicitá,
che la permea e plasma, la chiesa l'ha non da o in sé, ma
al di sopra di sé: nel mistero del .Cristo. Senonché
nemmeno quest'ultimo é isolabile dalla testimonianza che
gli rende la cattolicitá.
La testimonianza incredibile
La testimonianza della catholica é profondamente nascosta,
tanto nascosta quanto lo é il mistero che essa testimonia.
Si provi a intervistare una qualsivoglia categoria delle classi
superiori, in occidente o in oriente, su quel che s'intende per
" cattolico ", su quel che si associa a questo aggettivo, e si vedrá.
Inquisizione, morale sessuale e cose del genere. La chiesa (nel
suo documento conciliare di minor nerbo) ha "benedetto" i mass-media;
ma puó essa svelare in questi al colto e all'incolto il suo
autentico mistero, l'unico che la possa render credibile? Non sará
forse costretta a presentarvelo in una forma per lo meno derivata,
estraniata, moralizzata (" semplice e comprensibile ")? E allora
non fará propaganda piuttosto che missione?
Su questo piano secondario la catholica si é assunta implicitamente
il ruolo d'essere una "chiesa" o comunitá religiosa fra le
altre. Non lo é forse di fatto, giá per il suo essersi
frammentata, nel corso della sua storia, in numerose "chiese" (precalcedonese,
ortodossa, calvinista, anglicana ecc.), ciascuna delle quali pretende
di rendere la (approssimativamente) piú genuina testimonianza
del mistero? Ma escluso colui che da qualche parte sia stato affascinato
dal mistero, chi non sará scoraggiato da queste differenze,
se é vero, com'é vero, che la catholica dovrebbe essere
esteriormente riconoscibile dal " siate tutti una cosa sola, cosi'
come io e il Padre "?
E, all'interno della chiesa " cattolica romana ", ecco le polarizzazioni
postconciliari: sinistra-destra, progressisti-conservatori. Forme
date per irrigidite si fondono nell'amorfo, altre si mantengono
caparbiamente in effettiva rigidezza. Le prime e le seconde da nulla
sostituite che lasci sperare durevolezza, ma solo da svariati collages
affazzonati a precipizio e invecchiati giá al primo apparire.
(Difficile appurare se qui abbia effetto l'impotenza tutta novecentesca
di coniare forme genuine o una peculiare e nuova impotenza cristiana:
quanto effimera é, oggi, quasi ogni espressione d'arte cristiana,
di musica sacra, di testi liturgici!) Il barocco postriformistico
sta li' a dimostrare che non é inevitabile, per i cristiani,
uno stile del genere.
Le molte sette, scindendosi, hanno asportato ciascuna dalla catholica
un pó di vitalitá (in parte serbando la tradizione
genuina, in parte con un rifarsi sedicente inedito, alle origini),
favorendo cosi' l'idea che della chiesa cattolica altro piú
non sia rimasto che ossa spolpate, scheletro: " istituzione ", establishment.
Le polarizzazioni interne rafforzano questa impressione, giacché
l'esasperazione degli estremi fa palese che il centro, l'unico capace
di tener insieme i due capi, é seriamente devitalizzato.
Chi presterá mai fede a una testimonianza frantumatasi nella
polemica, e che pure si spaccia per testimonianza della totalitá?
Chenosi?
Il rivolo che nella visione d'Ezechiele colava da sotto la soglia
del tempio verso oriente per poi gonfiarsi in una fiumana non attraversabile
a gua-do, era sottile. Anche dalla piaga del costato di Gesú
non sgorgó che qualche stilla. Deve forse la fiumana della
catholica risalire all'amorfo della sua sorgente, per rigenerarvisi?
Occorre che nel frattempo la sua diventi una testimonianza silente,
per riattingere forma credibile dal centro riconquistato, dalla
ricuperata missione? 0 sara abolita del tutto ogni forma esteriore?
Nella vita di Gesú si ebbe un momento di stasi e di peripezia
(i sinottici articolano su quest'ultima tutta la loro narrazione):
fu quando la sensazione prodotta dalle sue parole e dai suoi miracoli,
l'entusiasmo delle masse ebbero raggiunto il grado di saturazione,
mentre la crescente opposizione dei dominanti si raggrumava nella
sentenza di morte. Da quel momento, " con lo sguardo fisso ", Gesú
imbocca la via per Gerusalemme, tirandosi dietro i discepoli sgomenti
e ben sapendo che cosa l'attendeva.
La stessa peripezia vive Paolo allorche, a dispetto d'ogni messa
in guardia, imbocca la strada che sale a Gerusalemme, mentre lo
Spirito gli dice che lá l'attendono catene e tormenti.
Perché non dovrebbe suonare l'ora storica e planetaria anche
per la chiesa, e perché non oggi? Allora la discesa lungo
l'altro pendio dovrebbe avvenire con piede non meno fermo che durante
l'ascesa d'un tempo. Né occorre che le sia rispar-miata un'intima
angoscia; l'ha conosciuta anche il suo Signore. Essa puó
coincidere con un'angoscia d'altra natura: quella dell'umanitá
di fronte alla sua autodistruzione e all'annientamento. Forse la
chiesa ha da accompagnare l'umanitá sulla via al patibolo,
e forse all'umanitá una tale accompagnatrice e oggi piú
che mai indesiderata. La brutalitá dei fatti, che essa non
puó non riconoscere tutti per suoi, mai s'accorda col richiamo
ad una veritá trascendente. Questo ha un effetto come di
dispersione.
Tramutare 1'angoscia
L'angoscia soffoca impietosamente le umane gole. Inonda gli studi
degli psichiatri, popola i manicomi, fa svettare i diagrammi dei
suicidi, piazza plastico e tritolo, scatena guerre fredde e calde.
Si cerca d'estirparla come mala erba, coi rastrelli d'un ottimismo
narcotizzante, d'una forzata filosofia della speranza, di stimolanti
d'ogni sorta liberalizzati, dell'industria turistica compiacente
all'istinto nomadico, d'ogni forma piú adescatrice d'auto-alienazione.
Altri predica dal di fuori il dovere della "consolante" fiducia
in Gesú; ma di consolazione, nemmeno l'ombra.
La realtá cattolica non elimina. no, ma tramuta l'angoscia.
Se nell'eucaristia e nella penitenza é realmente presente
l'evento della croce, in essa é presente anche la sua angoscia,
che fu un concentrato e un superamento di tutta l'angoscia del mondo.
Fu angoscia sacrificale, vicaria, offerta a Dio perché della
loro fossero sgravati i peccatori.
Le predizioni di Gesú alla chiesa sono un con-tinuo alternarsi
di fatti orrendi (non si puo che paventarli: " Come pecore fra i
lupi "!) e d'incitamenti incoraggianti a superare l'angoscia della
paura, perché offerta a Dio: " Non sia turbato il vostro
cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede in me " (Gv 14,1). " Voi
sarete afflitti. ma la vostra afflizione si cambierá in gioia
" (Gv 16,20). Nell'angoscia del parto la donna getta grida; la catholica
deve soffrire insieme al suo Signore le doglie per il mondo. Meno
che ad altri, e ai rappresentanti della chiesa - ai santi da un
lato, ai ministri dall'altro - che non é risparmiata l'angoscia
ecclesiale, né questa puó cercar di nascondersi dietro
un qualche schermo di "rappresentanza". La comprensibile angoscia
del timore che la testimonianza possa diventare impercettibile non
deve far perder la testa e indurre a trasformare la testimonianza
in un rimbombo petulante di megafoni mondani. " Non contenderá,
né griderá, né si udrá sulle piazze
la sua voce " (Mt 12,19). Certi sonori teologi e certi mezzibusti
televisivi cattolici d'oggi sono quant'altri mai poco credibili,
non sapendo essere che spaventosi semplicisti.
Angoscia della chiesa che teme la spogliazione, fra l'angoscia
della croce e l'angoscia dell'umanitá. Al cristiano singolo
non é lecito restare indifferente, di fronte a questa angoscia;
egli non puó schivarla, quasi che tocchi solo agli " addetti
ai lavori ", che si tratti semplicemente di un eccesso d'inquietudine
del clero che lotta per la sua " identitá sociologica ".
Perdita del soggetto complessivo
Solo " con tutti i santi " possiamo "comprendere quale sia l'ampiezza,
la lunghezza, l'altezza e la profonditá, e conoscere l'amore
di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, per essere ricolmi di tutta
la pienezza di Dio " (Ef 3,18 s.). Nessuno, dunque, ce la fa da
solo a capire la realtá cattolica.
Non teologo che vada a fondo meditandola fra sé e sé,
non fedele che se la preghi, soffra, viva solo soletto nel bel mezzo
di essa. Se un cristiano ha fatto viva esperienza di questo, saprá
di doversi inserire) ingranare nella chiesa, essere una delle sue
spirituali articolazioni. Essa sola pronuncia il compiuto " fiat
", essa sola é la sede della sapienza; e penetrando nel suo
seno che si aprono le anime chiuse, disperanti di sé medesime.
" Della pietá della chiesa, come pure della sua fede, non
abbiamo che una partecipazione: ce ne abbeveriamo, viviamo, ci muoviamo
e siamo in esse, ma nessuno puó possederle totalmente. Se-nonché
per mille ragioni i tradizionali vincoli co-munitari vanno in briciole,
cadono sempre piú in disuso gli esponenti responsabili delle
comunita. Si tenta allora, nella misura del possibile, di addossare
il tutto ad ogni coscienza singola, di pigiarlo nell'esiguo spazio
del singolo. Poiché questo non va) i contenuti si volatilizzano
nell'astratto e nel teorico, che non tocca piú la nostra
vita, e men che meno la plasma; in pratica si centellina, spilluzzica,
assaggia, cincischia a caso. Di qui la piattezza, la penuria, il
fiato corto sempre piú nettamente avvertibili nella vita
del singolo cristiano, di qui l'inquietante sovraccarico di programmi
e imperativi. Non é piu possibile partecipare muovendo dalle
radici; tutto dev'essere fatto e voluto coscientemente, tutto dev'essere
giustificato, discusso, deliberato. Nessuna meraviglia se oggi nell'esterioritá
religiosa predomina spesso il fattore pedagogico, non nel senso
piú puro del termine, ma pronunciatamente tralignante nel
propagandistico: l'imitazione di fortunati metodi pubblicitari profani
che arrivano fino al trucco, allo slogan, allo stereotipo, il tutto
nell'organizzata offerta di massa che viene disseminata capillarmente
in quest 'ultima dalle centrali competenti. La consistenza personale
del singolo si e fatta minuscola " (J. F. Gorres).
La perdita della (possibilitá di) partecipazione al soggetto
complessivo e, immediatamente, perdita dell'istinto cattolico, che
" comprende " e " conosce " solo allorché l'oggetto " sorpassa
ogni conoscenza "; altrimenti, ci si accontenta di quanto é
conoscibile profanamente. Ecco il pericolo d'un " aggiornamento
" erroneamente inteso, che si abbassi al livello medio di capacitá
dell'" uomo moderno ", non riconoscendogli piú quella di
tendere con tutte le forze a integrarsi nel soggetto ecclesiale,
il solo che abbia diritto e potere di prender la parola per rispondere
alla Parola. Ma occorrerebbero dei santi, per far si' che il linguaggio
della chiesa, in cui mille voci si fondono, giungesse, attraverso
il lungo volger dei suoi secoli, fino alle odierne orecchie come
suono familiare (invece che incomprensibile borbottio), per far
si che le " vedute personali ", oggi bagaglio quasi immancabile
d'ognuno e che ognuno mette fuori a suo grado, si ampliassero in
ecclesiali epperó cattoliche, per far si' che i " parzialmente
identificati ", cioe i necessariamente situati in posizione eccentrica,
fossero ricondotti a quel centro che sta al di sopra e al di sotto
di tutte le meschine insensatezze di cui essi si scandalizzano.
Dedizione
Il tempo nostro é iconoclasta; la sua volontá di
far sparire immagini si estende oltre alle sole icone o alle statue
del Cuore di Gesú: mira ad ogni forma compiuta. Le stesse
macchine per demolire s'avventano contro i muri e dall'esterno e
dall'interno. Non solo gli argini protettivi della rivelazione)
i " dogmi ", sono livellati alla levatura della ragione, non solo
l'" autorita " (quale presenza del Dio che si rivela) e respinta
come pregiudizievole allo spirito del tempo: fin alle substrutture
ecclesiali, scuole, ospedali, monasteri con i loro ordinamenti di
vita, tutto é minacciato.
Esistono due specie di dissoluzione; viste da lontano, sono affini
tra di loro come morte e sonno ("Lazzaro, l'amico nostro, dorme").
Sonno come un ringoiarsi tutte le antenne, un ripiegarsi in dentro,
un reimmergersi nella scaturigine della vita per rigenerarsi ("
In veritá, in veritá... se uno non rinasce... "),
un impicciolirsi nel " piccolo resto " che detiene l'intera promessa.
Mentre la morte é un volere l'amorfo, l'anarchia, il sonno
é un concentrarsi nel frutto che, cadendo nel solco, ricoperto
e dissolto dalla terra, promette nuova forma, nuovo raccolto.
La libertá piú salda e possente, l'ha chi sa far
gettito di quanto in lui ha forma, per rigenerarsi nella scaturigine
amorfa, nel nulla dello sperma (il luogo primo che l'accolse e che
serba tutta la sua freschezza!). Era presente l'intera impresa di
Gesú Cristo a pro del mondo allorché egli fece immettere
se stesso, un simile Nulla, nel grembo della madre dallo Spirito
Santo, pronto e aperto ad ogni desiderio del Padre: "Eccomi") vengo
a fare la tua volontá ". Nessun ben architettato piano di
lavoro, ma solo l'orecchio ben teso all'interiore, in un crescendo
inarrestabile della brama di ricevere e attuare la direttiva del
Padre. Assimilate alla "bassezza" di quella " serva " nelle cui
viscere il Figlio ora prende corpo. Indifferenza, cioé indistinzione,
che consiste di schietta disponibilitá a Dio. Un vivere su
comando: ora di piantare ora di togliere le tende.
Un altro vi fu che si specializzó nel vivere anche lui su
comando, ad andare e venir via: il "pellegrino" delle strade maestre
fra Venezia, Gerusalemme, Parigi, Inghilterra, Loyola, Padova, Roma.
Plasmatore universale, perché rimasto universalmente plasmabile
egli medesimo, come " materia prima " ". Come un'ombra dell'obbedien-za
chenotica del Figlio di Dio. Egli e cosi salda-mente inostricato
nel grembo di tutte le forme, che non lo inquietano intimamente
nemmeno l'amorfizzazione e la liquefazione (né la liquidazione!)
di quanto da lui ebbe forma (persino quando a toglierla sono i suoi);
egli é come il chicco di frumento ritrovato nella tomba egizia:
dopo millenni e ancora e di nuovo pronto a germogliare.
INTERVISTA PER "MOSCOW MAGAZINE"
1)
In questi anni ha visto molti cambiamenti: c’è una logica, o è
un caos?
Il mio primo viaggio in
Russia risale al 1982, quando cominciava appena il dopo-Breznev.
Allora era molto difficile pensare a cambiamenti nel breve periodo,
anche se in precedenza avevo visitato la Polonia negli anni di
Solidarnosc, dove invece i cambiamenti erano evidenti. Un fattore
si è comunque confermato negli anni: la Russia è
comunque diversa anche dagli altri paesi ex-comunisti dell’Europa
orientale, non andrà ma a rimorchio dell’Europa o dell’America.
Ha bisogno di trovare una sua strada, e questo è un dato
che ha condizionato tutti i tentativi di riforma, da Andropov
a Putin: non c’è mai un modello pre-definito, che si possa
applicare automaticamente. Anche l’attuale presidente è
alla ricerca di questo modello, e non si vedono ancora risultati
apprezzabili. In questo senso, la mancanza di logica è
proprio l’elemento più caratterisitico della storia russa;
è da questo caos, reale o apparente, che possono nascere
fenomeni di grande rottura o di grande progresso (come in parte
è stato nel decennio eltsiniano), alternati da lunghe pause
di ristagno (come pare stia avvenendo con l’attuale dirigenza).
2)
Quale Russia sognava prima di trasferirsi?
Come ogni occidentale che si avvicina alla cultura
russa, anch’io ho subìto molto il fascino della Santa Russia,
quella di Dostoevskij e delle icone. L’arte, la letteratura e
la spiritualità russa dell’800 hanno avuto grande peso
nella mia formazione intellettuale, e di questo sono grato ancora
oggi. Ovviamente sono dovuto passare attraverso una notevole delusione,
quando ho scoperto che la Russia sovietica non aveva più
nulla in comune con la Russia di Tolstoj o di Leskov. Eppure ho
apprezzato diversi elementi della vita sovietica, che nonostante
l’ideologia era riuscita a fornire certi parametri di semplicità
e di uguaglianza, che ora sono andati perduti (era inevitabile,
perchè nel suo insieme il sistema sovietico era proprio
assurdo). Oggi non mi piace il modo rozzo e nostalgico di tornare
alle categorie ottocentesche, e sogno una Russia completamente
nuova, che non sia nè quella dell’800, nè quella
del 900, e neppure una copia dell’America o dell’Europa. Conoscendo
le grandi potenzialità del popolo russo, sono comunque
ottimista, e spero di riuscire a vedere, magari nella mia vecchiaia,
la nuova Russia del 2000.
3)
E’ vero che la Russia non si può capire con la ragione?
La Russia non ha vissuto
la grande parabola del razionalismo illuminista, e quindi ha conservato
un concetto di ragione meno rigido di quello occidentale. In questo
senso l’affermazione è esatta: è difficile capire
la Russia con la ragione "razionalista", con la ragione occidentale.
Bisogna aprirsi a una maggiore capacità di comprensione,
ma questo non vuol dire cadere nell’abisso dell’irrazionale: in
Russia c’è anche molta sapienza e ragionevolezza, sia nell’intellighenzia
che nel popolo più semplice.
4)
Bisogna che la Russia diventi come i paesi occidentali, che entri nella
comunità internazionale?
Certamente la Russia ha
molto da imparare dai paesi occidentali; purtroppo il comunismo
l’ha lasciata in uno stato di arretratezza impressionante, e ci
vorrà parecchio tempo per recuperare e arrivare al livello
di sviluppo che le compete. Questo non vuol dire imitare l’Occidente,
perchè l’imitazione porta a prendere la parte peggiore,
come si è visto in questi anni; più dell’imitazione
serve il dialogo, la capacità di incontrarsi come soggetti
di pari dignità. In questo senso è fondamentale
che la Russia diventi un membro sempre più attivo della
comunità internazionale a tutti i livelli, e superi tutte
le tentazioni di isolamento.
5)
Come mai in Russia si deve sempre "costruire" qualcosa (il socialismo,
il mercato)?
La fase di "fondazione"
è sempre la più creativa, e quindi, in questo senso,
la Russia è davvero un paese più interessante di
tanti altri. Certo è difficile vivere di continui tentativi,
è necessaria anche la stabilità e la sicurezza,
ma è più importante la fase creativa, che deve essere
sviluppata senza troppi timori o troppa fretta, altrimenti si
scivola presto nelle tentazioni autoritarie o totalitarie: è
il rischio che si sta correndo oggi
6)
Che cos’è la fede per i russi oggi?
Purtroppo oggi la fede
in Russia è ridotta in buona parte a superstizione e misticismo
a buon mercato. Storicamente la Russia ha offerto una propria
rielaborazione del cristianesimo bizantino, raggiungendo livelli
notevoli in alcuni periodi, dando quindi un contributo originale
alla storia del cristianesimo in generale. Oggi l’ "anima russa"
è spesso solo uno slogan o un’illusione: l’anima ha bisogno
di essere evocata ed educata, altrimenti rimane a livello dell’istinto
velleitario. L’ortodossia russa di oggi è talmente svuotata
della sua forza storica, da essere a volte addirittura un ostacolo
per la fede. D’altra parte, se sarà possibile superare
questa fase di tradizionalismo un po’ volgare e insipido, ci sono
buone speranze che la fede possa rinascere e di nuovo fornire
al mondo una grande testimonianza di ricchezza spirituale, come
nelle sue migliori tradizioni.
7)
Dove vorreste morire?
La morte, come la vita
intera, è un mistero che rimane nelle mani di Dio. Credo
che morirò dove e quando lo vorrà Lui, e questo
mi sembra l’unico modo adeguato di vivere e di morire.
|